Handbook_Volume III

21 Utilizzando tale modello, erano state già acquisite una serie di informazioni, sia biologiche che tecniche, inerenti la ricostituzione ematopoietica dopo trapianto autologo di CSE, che sotto molti aspetti sarebbero in seguito risultate preziose anche nel campo del trapianto allogenico. Gli studi di trapianto autologo nel cane avevano progressivamente dimostrato che la ricostituzione ematopoietica era possibile per infusione di midollo osseo dopo TBI letale [19, 20] e che tale ricostituzione poteva essere ottenuta anche per uso di cellule midollari criopreservate. Potendo essere somministrato endovena assieme alle cellule dopo scongelamento, l’impiego del dimetilsulfossido (DMSO ) come agente criopreservante [21] in sostituzione del glicerolo, che poneva seri problemi di rimozione prima dell’infusione [22], rappresentò un’acquisizione tecnica di straordinaria rilevanza per la clinica. Gli studi sperimentali del gruppo di Seattle sul cane come modello animale permisero, oltre ad una più precisa descrizione degli eventi rigetto e GVHD, di stabilire alcuni principi che si sarebbero rivelati fondamentali nell’applicazione del trapianto allogenico sull’uomo: 1) ruolo, livello e modalità di somministrazione della TBI ; 2) selezione del donatore sulla base della compatibilità DLA nei cani, criterio che nell’uomo sarebbe divenuto essenziale nella scelta del donatore per determinazione degli antigeni HLA; 3) possibilità di prevenire o attenuare il fenomeno GVHD mediante somministrazione di un ciclo breve di MTX a partire dal giorno +1 dopo infusione di midollo osseo [23, 24, 25]. Gli anni ’60 si chiudono pertanto in una prospettiva promettente con le prime esperienze di trapianto allogenico applicato seguendo i criteri di istocompatibilità HLA per la selezione del donatore. Tre bambini affetti da immunodeficienza primitiva e che, per la stessa natura della malattia di base, non necessitavano né di terapia immunosoppressiva antirigetto né di terapia citotossica ablativa antineoplastica, furono trapiantati con successo da donatori familiari HLA identici con ripresa dell’emopoiesi di origine del donatore e ricostituzione del patrimonio immunitario, divenendo tutt’e tre lungo-sopravviventi [26, 27, 28]. Infine, il gruppo di Seattle riportò il primo paziente affetto da Leucemia Mieloide Cronica (LMC) in crisi blastica sottoposto a trapianto allogenico da sorella HLA identica dopo condizionamento pre-trapianto eseguito con TBI in dose unica di 954 cGy e ricevente brevi cicli di MTX per la profilassi della GVHD. Sebbene il paziente sia purtroppo deceduto per infezione sistemica da citomegalovirus, gli obiettivi espressi in termini strettamente trapiantologici, quali l’attecchimento, la ricostituzione ematopoietica totalmente chimerica, la remissione ematologica completa della malattia e il controllo della GVHD, furono tutti raggiunti [29]. Dal 1970 al 1990 A partire dagli anni ’70, le ricerche di laboratorio, gli studi sperimentali su modelli animali e le prime, incoraggianti esperienze cliniche accumulati nel ventennio precedente, aprono la strada ad una rapida e sempre più diffusa applicazione del trapianto allogenico nella pratica clinica. Il gruppo di Seattle, che è stato a lungo pioniere e capofila in questo settore della Medicina, seguendo l’esperienza di Santos et al. del gruppo di Baltimora (30), introduce l’uso della Ciclofosfamide (CTX) ad alte dosi, farmaco intensamente immunosoppressivo, nel condizionamento pre-trapianto per l’Aplasia Midollare (AM) grave [31]. La CTX rimarrà a lungo ed è tuttora costituente fondamentale delle combinazioni radio e/o chemio-terapiche di condizionamento al trapianto. E’ sempre al gruppo di Seattle che va dato merito della pubblicazione nel 1975 su New England Journal of Medicine (NEJM) di una revisione generale sul trapianto, nella quale, oltre a riportare la propria esperienza relativa a numerosi pazienti trapiantati per AM e Leucemia, venivano rivisitati tutti gli aspetti biologici, organizzativo-strutturali, procedurali e clinici inerenti tale materia, fornendo un’importante base di riferimento per chiunque volesse intraprendere la strada del trapianto di CSE [32]. Ulteriori fondamentali esperienze riferite dallo stesso gruppo sono state nel 1977 il rapporto su 100 pazienti affetti da Leucemia acuta in fase avanzata di malattia trapiantati da donatore HLA compatibile dopo condizionamento con CTX e radioterapia: 13 di essi divennero lungo-sopravviventi [33]. Tale osservazione fornì l’indicazione ad eseguire il trapianto in fase di remissione di leucemia piuttosto che in condizioni di malattia franca, ottenendo, con l’adozione di tale strategia, un formidabile incremento delle curve di sopravvivenza [34, 35]. Questi ultimi rapporti sono del 1979, anno in cui da Weiden et al. venne descritto con chiara evidenza clinica l’effetto Graft-versus-Leukemia (GVL), legato al trapianto allogenico, come importante fattore contribuente alla guarigione post-trapianto per l’attività anti leucemica esercitata dai linfociti del donatore [36]. Tale osservazione aprirà un campo di studi, riflessioni e applicazioni terapeutiche che è ancora in divenire. Intanto, nello stesso anno, a fianco a un generale miglioramento dei regimi di assistenza al paziente trapiantato, della terapia antinfettiva, di quella emotrasfusionale, con la pratica ormai di routine dell’irradiazione dei prodotti cellulari infusi, e della terapia di supporto, sono avviati i primi studi pilota relativi a due farmaci che incideranno in maniera significativamente favorevole sulla clinica del paziente trapiantato: l’Acyclovir per la prevenzione dell’infezione da Virus Herpes Simplex e Varicella-Zoster [37] e la Ciclosporina [CSA] per la profilassi della GVHD [38]. Testata precedentemente sul cane come modello animale [39], l’associazione CSA + MTX si imporrà nella pratica clinica dopo lo studio prospettico randomizzato condotto dal gruppo di Seattle, che ne aveva dimostrato la maggiore efficacia nel prevenire la GVHD [40]. Pur nella sintesi di questa storia, altra data particolarmente rilevante che non possiamo non ricordare è il 1980, anno della pubblicazione su NEJM del primo trapianto eseguito con successo a Seattle in un paziente affetto da leucemia e ricevente midollo osseo da donatore non correlato HLA compatibile, casualmente identificato in un tecnico che lavorava nei laboratori di Ematologia dell’Istituto [41]. La successiva costituzione 1. Aspetti Generali

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