76 di esami ematochimici e strumentali finalizzati al riconoscimento di eventuali condizioni patologiche e/o tali da ridurre le capacità funzionali degli organi principali; in ambito trapiantologico, l’identificazione di eventuali comorbidità appare di particolare importanza, sia per attuare eventuali trattamenti finalizzati al loro contenimento, o - dove possibile - alla loro risoluzione, sia per la pianificazione della miglior strategia di condizionamento in relazione alla loro sussistenza. 2. Valutazione pre-trapianto La valutazione pre-trapianto deve essere accurata e comprendere, oltre ad un’anamnesi completa e un approfondito esame obiettivo, una serie di indagini comprensive di esami ematochimici e strumentali. L’esame obiettivo del paziente ematologico deve necessariamente includere anche un’adeguata ispezione della cute (a volte unico segno di infezioni fungine anche gravi in corso, nonché possibile localizzazione di malattie ematologiche) e del sistema linfoghiandolare (soprattutto, ma non solo, per le patologie linfoproliferative). Particolare attenzione va posta inoltre all’integrità dei nervi cranici e alla sintomatologia neurologica (le più frequenti: cefalea, nevralgie, alterazioni della vista, deficit di forza, disestesie) che possono evidenziare una ripresa della malattia ematologica o un’infezione, più frequentemente opportunistica, al livello del sistema nervoso centrale/periferico. Tra gli esami ematochimici, oltre all’emocromo e ai principali indici di funzionalità renale ed epatica, devono essere inclusi una serie di markers infettivologici (sia a livello sierologico che mediante ricerca di specifici DNA o RNA nel caso di possibili infezioni virali) che permettono di identificare un pregresso contatto con agenti patogeni, dei quali il paziente potrebbe essere portatore occulto e necessitare pertanto di profilassi specifiche o di ulteriori approfondimenti diagnostici prima del trapianto. Lo screening infettivologico deve inoltre escludere la sussistenza di eventuali infezioni attive, per le quali potrebbe essere richiesto un trattamento specifico prima del trapianto e/o durante il trapianto. Gli esami strumentali comuni a tutti i pazienti candidati a trapianto includono lo studio del cuore mediante elettrocardiogramma, ed ecocardiografia ed eventuale visita specialistica cardiologica, l’ecografia dell’addome completo, la TC del torace senza mezzo di contrasto per escludere eventuali lesioni del parenchima polmonare ascrivibili in particolare ad egenti infettivi, le prove di funzionalità respiratoria mediante spirometria comprensiva dello studio della diffusione alveolo capillare del monossido di carbonio (DLCO), l’ortopantomografia, la TC del massiccio facciale e, in casi particolari, la RM dell’encefalo con mezzo di contrasto. L’insieme di queste indagini ha sia la finalità di rilevare eventuali riduzioni funzionali di organi vitali che quella di evidenziare l’eventuale presenza di residui di malattia ematologica e/o potenziale recidiva, a escludere focolai infettivi e/o a evidenziare condizioni patologiche potenzialmente risolvibili prima del trapianto o, se non risolvibili, che potrebbero incidere sulla scelta della terapia di condizionamento e della profilassi della GvHD. Nel trapianto allogenico, infine, un altro esame fondamentale è lo studio dell’“impronta digitale” genetica sia del paziente che del donatore, che dopo il trapianto servirà a valutare l’eventuale percentuale di emopoiesi del paziente ancora presente rispetto a quella del donatore (chimerismo emopoietico). 3. L’età Il limite per classificare come “anziano” un paziente ematologico si è progressivamente alzato nel corso degli anni, fino ad arrivare ai giorni nostri ai 65 anni come età soglia comunemente accettata. Nonostante l’età mediana di insorgenza della maggior parte delle neoplasie ematologiche sia uguale o superiore ai 65 anni, la maggior parte dei pazienti in questa fascia di età sono stati storicamente esclusi dall’opzione potenzialmente curativa del trapianto allogenico, sia per caratteristiche biologiche delle stesse neoplasie generalmente sfavorevoli (con conseguente più alta probabilità di resistenza alle terapie) sia per una più alta morbilità e mortalità associate al trapianto. L’avvento dei regimi di condizionamento a ridotta intensità ha permesso di offrire il trapianto anche a pazienti più in là con l’età, spingendosi anche oltre i 70 anni. [3] Già dai primi report su questa tipologia di trapianto appariva chiaro che l’età da sola non poteva essere considerata una controindicazione al trapianto. [4] Nel 2014 Sorror et al., confermando l’inadeguatezza del solo parametro “età” come fattore prognostico dell’outcome trapiantologico, proponeva la sua integrazione con altre eventuali comorbidità del paziente. [5] Studi recenti dimostrano inoltre che pazienti over 65 anni con buon performance status e senza comorbidità maggiori possono raggiungere ottimi risultati in termini di controllo a lungo termine della malattia attraverso l’utilizzo di regimi mieloablativi a ridotta tossicità, senza per questo doversi scontrare una più alta mortalità trapiantologica rispetto ai pazienti più giovani. [6;7]
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