Handbook_Volume III

188 4.1 Raccomandazioni sulle strategie di profilassi antivirale di HSV, VZV e CMV La profilassi antivirale con aciclovir o valaciclovir viene largamente impiegata nei confronti delle infezioni da HSV e VZV in varie categorie di pazienti, in particolare dopo trapianto allogenico di CSE. I pazienti HSV e VZV sieropositivi, che rappresentano la maggior parte dei trapiantati se teniamo conto della grande diffusione di tali virus in comunità, devono ricevere la profilassi antivirale a partire dal giorno del trapianto e per un lungo periodo (anche oltre un anno) fino al recupero immunologico che dipende dal tipo di trapianto, dalla sua evoluzione e dal trattamento immunosoppressivo. Gli schemi più adottati sono rappresentati da aciclovir ev (250 mg/ mq o 5 mg/kg ogni 12 ore), aciclovir per os (600-1200 mg/ die), valaciclovir per os (500 mg due volte al dì). Questi schemi di profilassi sono efficaci sia verso HSV che VZV (46). Vari tipi di profilassi farmacologica della riattivazione di CMV, definita come rilevamento di CMV DNAemia, sono stati sperimentati negli scorsi decenni nel trapianto allogenico di CSE (49-51). Nel trapianto autologo di CSE il rilevamento della CMV DNAemia è un evento variabilmente frequente ma clinicamente poco rilevante in quanto solitamente non predittivo di una successiva malattia citomegalica. Fanno eccezione alcuni pazienti trattati prima del trapianto autologo con farmaci altamente immunosoppressivi (p.es. alemtuzumab, fludarabina). Per tale motivo nel trapianto autologo di CSE non vi è indicazione a profilassi delle infezioni da CMV né a monitoraggio della CMV DNAemia. In studi randomizzati su popolazioni di pazienti sottoposti a trapianto allogenico di CSE aciclovir o valaciclovir hanno dimostrato di essere in grado di ridurre il rischio di riattivazione di CMV quando somministrati ad alte dosi. Per tale motivo questi schemi di profilassi sono stati largamente impiegati per alcuni decenni ma con risultati comunque insoddisfacenti. Come già detto, altre molecole più attive verso CMV come ganciclovir e valganciclovir sono state impiegate nel passato ma presto abbandonate a causa della eccessiva tossicità (49). In uno studio prospettico randomizzato pubblicato nel 2017, l’uso del letermovir in pazienti CMV sieropositivi nelle 12 settimane dopo il trapianto ha ridotto l’incidenza di infezioni da CMV clinicamente rilevanti rispetto al placebo dal 50% al 19,1% a 14 settimane dal trapianto e dal 60,6% al 37,5% a 24 settimane dal trapianto (52). Alla luce di questi dati il letermovir viene raccomandato con alto livello di evidenza da tutte le linee guida internazionali a partire dal giorno 1 e fino a 100 giorni dal trapianto (50,51). I risultati di questo studio sono stati ampiamente confermati da numerose esperienze di “real life” ed attualmente la profilassi con letermovir in tutti i pazienti CMV sieropositivi rappresenta lo standard della maggior parte dei centri trapianto indipendentemente dal rischio trapiantologico. Inoltre, l’attenta valutazione dei casi di CMV DNAemia documentati in corso di profilassi con letermovir ha permesso di rilevare che nella maggior parte dei casi non si tratta di una vera riattivazione di virioni replicanti e infettanti ma di frammenti di DNA virale rilasciati da cellule andate in apoptosi (53). Per tale motivo in gran parte dei casi di rilevamento di CMV DNAemia in corso di profilassi con letermovir i clinici hanno imparato ad attendere la spontanea clearance della CMV DNAemia evitando spesso inappropriati e tossici trattamenti con ganciclovir, valganciclovir o foscarnet. Un ulteriore fenomeno riscontrato già nello studio registrativo e confermato dalle esperienze di “real life” è rappresentato dalle infezioni di CMV tardive documentate dopo la sospensione del letermovir che, come detto, al momento è indicato fino al centesimo giorno dal trapianto (54,55). In questi casi si tratta di vere riattivazioni di CMV che necessitano di un trattamento preemptive ed in alcune casistiche riguardano oltre il 30% dei pazienti trapiantati. In considerazione della rilevanza clinica delle infezioni tardive da CMV soprattutto nei trapianti ad alto rischio, è in fase di sperimentazione l’uso prolungato del letermovir fino a 200 giorni dal trapianto ed i risultati di tale studio saranno presto disponibili. Alcuni centri trapianto, particolarmente dopo la sospensione della profilassi con letermovir, impiegano nei pazienti ad alto rischio concentrati di immunoglobuline CMV specifiche (con somministrazioni ogni 2-3 settimane per alcuni mesi) che sembrano offrire una interessante attività soppressiva nei confronti delle riattivazioni virali. Tuttavia l’uso di questa strategia di prevenzione alternativa o in combinazione con farmaci antivirali necessita di una attenta validazione scientifica prima di poter essere raccomandata con adeguato livello di evidenza.

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