Handbook_Volume III

175 3. Terapie di supporto Negli ultimi dieci anni sono stati ottenuti notevoli progressi nell’ambito dell’allo-TCSE da fonti alternative in pazienti pediatrici con necessità di trapianto (1,2). Nonostante i risultati incoraggianti, le infezioni rappresentano ancora oggi un importante causa di morbilità e mortalità nei pazienti immunocompromessi dopo TCSE (3). Le riattivazioni virali si sviluppano prevalentemente entro i primi sei mesi post TCSE. I virus a DNA a doppio filamento contribuiscono in modo sostanziale alla morbilità post TCSE, e in particolar modo le riattivazioni da herpesvirus, adenovirus (AdV) e poliomavirus BK (BKPyV) e JC (JCPyV) risultano le infezioni clinicamente più rilevanti(3–6). In aggiunta, anche i virus respiratori e le infezioni fungine si associano a un peggioramento dell’outcome post TCSE (7,8). Se lo sviluppo di singole infezioni opportunistiche può avere gravi conseguenze nei soggetti trapiantati, è stato anche dimostrato che la contemporanea e persistente presenzadi virus a DNA è frequente dopo il trapianto allogenico e l’aumento dell’esposizione ai virus correla con un aumento della mortalità(9). Infatti, in questi studi, l'area sotto la curva (AUC) cumulativa della viremia nei primi 100 giorni dopo TCSE era indipendentemente associata a un aumento del rischio di mortalità precoce e tardiva e di mortalità non legata alla recidiva di malattia (NRM). Gli effetti sulla NRM non sembrano essere diretti, poiché solo una piccola parte dei pazienti ha avuto conseguenze fatali correlate all’infezione. Sembra piuttosto che la viremia possa indurre un’aumentata produzione di citochine proinfiammatorie e immunomodulatorie che contribuiscono indirettamente alla patogenesi delle complicanze del trapianto. Negli ultimi anni il trattamento delle complicanze virali post TCSE è migliorato in parte grazie all’introduzione di nuovi farmaci antivirali e in parte per l'uso preventivo o pre-emptive di agenti antivirali all'inizio della viremia. Quest'ultima modalità ha ottenuto ampio successo grazie monitoraggio virologico con metodi di rilevamento molecolare (10). Allo stesso modo, la capacità di riconoscerele complicanze fungine nelle fasi iniziali, mediante l'imaging e la misurazione dell'antigene galattomanano nel sangue periferico, insieme alla valutazione delle risposte immunitarie antimicotiche, ha consentito un trattamento tempestivo e un miglioramento dell'outcome. Nonostante i progressi nella farmacoterapia profilattica e pre-emptive, le terapie patogeno-specifiche sono limitate dalla tossicità, in particolare dalla mielotossicità e dal danno renale, e in una certa misura dalla mancanza di efficacia nelle infezioni a rapido sviluppo (11). Lo sviluppo d’infezioni nel periodo post-trapianto riflette principalmente l'incapacità del sistema immunitario dell'ospite immunocompromesso di controllare la replicazione e la disseminazione dei patogeni; la perdita di funzione dei linfociti T è centrale in questo contesto. La ricostituzione dei linfociti T è un requisito chiave per un efficace controllo delle infezioni dopo trapianto e anche i fattori che influenzano la velocità di recupero dei linfociti T influiscono hanno effetti sul rischio infettivo (12). Il mismatch HLA tra donatore e ricevente riduce l'efficacia della sorveglianza immunitaria a causa dello scarso riconoscimento degli epitopi e aumenta il rischio di indurre risposte alloimmuni, richiedendo così una più forte immunosoppressione per prevenire e trattare la malattia del trapianto contro l'ospite (GvHD). Allo stesso modo, la ricostituzione immunitaria ritardata può essere una conseguenza della deplezione/inibizione funzionale dei linfociti T contenuti nel graft, messa in atto per prevenire lo sviluppo di GvHD. Dato il ruolo centrale dei linfociti T nel controllo delle infezioni, le strategie immunoterapeutiche per accelerare la ricostituzione dell'immunità patogeno-specifica e per accelerare il recupero dei linfociti T post TCSE rappresentano un'alternativainteressanterispetto ai trattamenti farmacologici (10,12–14). Inoltre, le strategie preventive possono essere estese all'utilizzo di test per l’immunità cellulare T-specifica al fine di identificare i pazienti a maggior rischio di riattivazione virale e per personalizzare l'intervento terapeutico (10,15). Alcune strategie di trapianto da fonte alternativa, quali il TCSE da donatore volontario non correlato HLA-mismatched, o il TCSE T-repleto da donatore familiare aploidentico, possono favorire l’insorgenza di GvHD acuta e/o cronica (2). Sebbene, di recente, la cura farmacologica della GvHD si sia arricchita di molte opzioni terapeutiche, l’associazione di un trattamento con cellule stromali mesenchimali (MSC), cellule multipotenti dotate di attività immunomodulatoria, può rappresentare una ulteriore implementazione a bassa tossicità, e con un potenziale terapeutico sinergico ad altre strategie. Qui di seguito discutiamo i risultati clinici della terapia cellulare per le infezioni e la GvHD, descriviamo l'impatto degli sviluppi tecnici sull'applicabilità clinica e forniamo indicazioni sulle direzioni future per ampliarne la diffusione. 2.Terapia cellulare per le infezioni post TCSE 2.1.Infusioni dei linfociti del donatore (DLI) L'uso di DLI derivate da donatori di cellule staminali è un'efficace terapia di salvataggio per le infezioni virali nei soggetti trapiantati che non hanno ricostituito una competenza immunologica, ma lo sviluppo di una GvHD acuta o cronica è un potenziale rischio. Al fine di limitare le conseguenze derivanti dall'alloreattività associata alla DLI, sono stati impiegati con successo linfociti T aspecifici trasdotti con un costrutto retrovirale contenente geni suicidi, per indurre la suscettibilità alla lisi mediata da farmaci in caso di sviluppo di una risposta alloreattiva. L'utilizzo di DLI modificate con il sistema della caspasi inducibile (iCasp9) in una piccola coorte di bambini trapiantati per leucemia acuta ha dimostrato i potenziali vantaggi di questo sistema in termini di rimozione tempestiva ed efficace delle cellule alloreattive in caso di sviluppo di GvHD acuta grave (16). 2.2.Linfociti virus-specifici: protocolli di produzione Una strategia alternativa all’impiego di linfociti non manipolati consiste nell’infusione di linfociti T antigene-specifici selezionati mediante coltura cellulare o selezione diretta. Le prime evidenze di fattibilità sono state ottenute in seguito a produzione in vitro di linfociti T citotossici (CTL) anti-virali ottenuti dal sangue periferico di donatori di CSE mediante incubazione con antigeni specifici, utilizzati come profilassi/trattamento delle complicanze da CMV o della malattia linfoproliferativa post-trapianto EBV-correlata (PTLD) in pazienti sottoposti a TCSE T-depleto, da donatore HLA parzialmente compatibile o da donatore non correlato. Questa strategia ha mostrato una buona efficacia clinica nella

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