Handbook_Volume III

478 3.4. Trattamento Le indicazioni riguardo al programma di trattamento seguono uno schema, ovvero: 1 ciclo di ECP (composto da 2 giorni di trattamento) ogni 2 settimane per 3 mesi, successivamente, 1 ciclo di ECP ogni mese per 3 mesi [17], [26]. Oppure, 1 ciclo di ECP ogni settimana per 4 settimane, poi 1 ciclo di ECP ogni 2 settimane per 4 settimane ed infine, 1 ciclo di ECP ogni mese per mesi o anni [17], [18], [26]. Tuttavia, tale schema tiene in considerazione la valutazione della risposta al trattamento, e, in base all’andamento della terapia può subire delle variazioni, per esempio, se si raggiunge la risposta: completa (CR) si può terminare la terapia con ECP; mentre in caso di risposta parziale (PR), si prosegue fino al raggiungimento della massima risposta; in caso di inefficacia con progressione della GVHD, si interrompe il trattamento [16]. Prima di cominciare il trattamento si consiglia di eseguire un prelievo ematico comprendente: emocromo completo, elettroliti (sodio e potassio) e INR nei pazienti in terapia con warfarin [18]. Inoltre, a causa dell'aumento della fotosensibilità, si raccomanda che i pazienti adottino misure protettive contro i raggi UVA per la pelle e gli occhi per le 24-48 ore successive alla procedura [16]. 3.5. Accesso vascolare Affinché la leucoaferesi avvenga in modo efficace, è necessario prevedere il posizionamento di un accesso vascolare stabile per consentire un flusso sanguigno di 50-100 ml/min, minimizzare i rischi e per aumentare la compliance del paziente [16]–[18]. Se le vene periferiche del paziente lo consentono, è preferibile utilizzare un doppio accesso venoso periferico di grosso calibro per due motivi principali: 1-consente un flusso sanguigno fino a 60-80 ml/min (un ago da aferesi da 16 Gauge per la raccolta e uno da 18-20 Gauge per la reinfusione), 2-determina un minor rischio infettivo correlato al catetere [16]–[18], [30]. Nel caso in cui non sia possibile reperire un accesso venoso periferico, viene valutata la possibilità del posizionamento di un catetere venoso centrale ad inserzione centrale (CICC) bi-lume (10-13.5 French) posizionato solitamente nella vena succlavia o giugulare, inoltre, in considerazione del fatto che l’ECP prevede un lungo periodo di trattamento, si può valutare la possibilità di impiantare un catetere tunnellizzato per ridurre il rischio di infezioni [16]–[18]. Infine, nonostante la scarsa letteratura a riguardo, un’ulteriore alternativa potrebbe essere rappresentata dall’inserimento di un catetere venoso centrale ad inserzione periferica (PICC), utile e sicuro per pazienti con scarso patrimonio venoso [31]; il port-a-cath (catetere venoso centrale totalmente impiantabile) esteticamente discreto e con basso rischio di infezione [32]–[34], può essere una ulteriore opzione, tuttavia la sicurezza di quest’ultimo non è stata ancora studiata approfonditamente [34]. La maggior parte delle complicanze gravi dell'aferesi sono legate ai cateteri e includono infezioni, emorragie, pneumotorace e trombosi correlata al catetere; inoltre, a causa delle punture venose ricorrenti, possono verificarsi ematomi locali, flebiti e cicatrici [16], [17]. 3.6. Effetti collaterali e complicanze L’ECP è ben tollerata e presenta degli effetti collaterali lievi o problematiche, rappresentate da: • problemi di accesso vascolare, più frequentemente infezione e trombosi [14], [15], [17] o legati al volume di sangue extracorporeo [6], [15], [17]. • anemia, trombocitopenia [14], [17], ipotensione transitoria [1], [6], [14], [15]; molto rare infine sono: febbre, brividi, nausea [14]. • sovraccarico di volume (che può essere causa di ipertensione arteriosa e insufficienza renale) [14], [17]. • la quantità di metossalene aggiunta alla sospensione cellulare è generalmente modesta, per cui a livello plasmatico la quantità rilevabile è minima [17]. • Ipocalcemia, molto rara, dovuta alla somministrazione di ACD utilizzato per la circolazione extracorporea [15].

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