416 mente supportato da evidenze scientifiche, ma ha anche dato origine ad una molteplicità di interpretazioni nelle applicazioni pratiche. Storicamente, la prima idea di manipolazione della dieta dei pazienti in ottica di prevenzione delle infezioni, fu messa in campo negli anni 60 [17] con l’obiettivo di fornire cibi completamente privi di germi e dunque sterilizzati in varie modalità: a vapore (autoclave), irradiati, cotti per lunghi periodi o inscatolati [18]. Queste modalità mostrarono ben presto i loro limiti per questioni legate al sapore, alla palatabilità e probabilmente ai costi; per cui, su impulso della US National Institutes of Health, Department of Dietary and Environmental Sanitation, venne proposta la “Dieta Cucinata” (Cooked food diet) che si basava sul concetto della eliminazione dei cibi con elevata conta batterica, la cottura e la gestione dei cibi in un ambiente decontaminato [19]. Anche questo approccio mostrò molti limiti di accettabilità da parte dei pazienti. Malgrado, infatti, i cibi risultassero maggiormente gradevoli, quest’ultima modalità ha prodotto vissuti di frustrazione nei pazienti, a causa della limitatezza nella disponibilità di cibi consentiti, che è stata in grado di influire saltuariamente persino sulla aderenza ad alcune terapie mediche [20]. La possibilità di liberalizzare la dieta nei pazienti neutropenici è stata presa in considerazione a partire dagli anni 80. Pizzo et al. 1982 [50] sottoposero ad esami colturali approfonditi più di 200 alimenti commercialmente disponibili, individuando cibi contenenti meno di 500 unità formanti coloni per grammo, in circa il 70% dei cibi analizzati. Gli autori proposero che questa lista di cibi potesse essere somministrata in sicurezza ai pazienti neutropenici, dando vita all’attuale concetto di LBD, ancora utilizzatissima nei programmi trapianto di tutto il mondo [21]. 3.1. Dalla dieta per neutropenici alla manipolazione e conservazione sicure dei cibi La necessità primaria di proteggere il paziente neutropenico da possibili infezioni di origine alimentare è la base aneddotica su cui la pratica clinica ha promosso l’utilizzo delle diete a bassa carica microbica in tutto il mondo. Nei programmi trapianto gli interventi di educazione alimentare consistono solitamente nell’informazione ai pazienti circa i cibi consentiti e quelli da evitare, nonché circa la loro corretta manipolazione [22]. Il ricorso a restrizioni dietetiche è molto diffuso nei centri trapianto e diverse indagini, eseguite negli ultimi 20 anni, hanno confermato questo aspetto [23, 24]. Tuttavia, nella pratica clinica, su molti aspetti fondamentali esiste una estrema variabilità di comportamenti, a partire dal momento di inizio delle restrizioni, dal livello di neutropenia considerato, dalla composizione delle diete, dal trattamento a cui gli alimenti vengono sottoposti, fino alle modalità di presentazione dei pasti [25]. Nell’ultimo decennio si è aperta una profonda riflessione su queste pratiche, soprattutto in concomitanza con una serie di nuove conoscenze acquisite circa il ruolo dei micro-organismi intestinali, delle loro interazioni con il metabolismo umano e con le performances del sistema immunitario [26]. Molti autori si sono posti la domanda su quali evidenze fosse poggiata una pratica così diffusa come la dieta per neutropenici [27, 28], ma la letteratura ancora oggi non fornisce evidenze robuste a favore del suo utilizzo, tant’è che i ricercatori hanno modificato il focus delle loro attenzioni nell’intento di valutarne l’efficacia nella prevenzione delle infezioni. I risultati sono stati sorprendenti: DeMille et al. 2006 [29] hanno segnalato una scarsa applicabilità della dieta per neutropenici in “outpatients” oncologici che ha generato una scarsa aderenza agli interventi educativi proposti; un altro studio su pazienti pediatrici non ha mostrato effetti positivi sulla prevenzione delle infezioni ed ha segnalato una maggiore difficoltà di aderenza dei pazienti alla dieta per neutropenici [30]. Un importante RCT, eseguito su 153 pazienti leucemici in induzione, non ha mostrato effetti significativi, in termini di riduzione delle infezioni maggiori (p=0.60) e della mortalità, nonché di eventi avversi quali mucosite severa, diarrea, perdita di peso, nei pazienti che avevano seguito una dieta con cibi cotti rispetto a quelli a cui era consentito di assumere anche cibi crudi [31]. Lassiter e Schneider [32] in un RCT pilota con l’obiettivo di valutare l’efficacia della dieta per neutropenici versus una dieta libera su pazienti sottoposti a TCSE concludevano che la dieta per neutropenici non offriva una maggiore protezione nei confronti delle infezioni in questi pazienti. Alcune revisioni e meta-analisi non hanno mostrato vantaggi della dieta a bassa carica microbica (o per neutropenici) rispetto a diete controllate o ragionate e rispetto a protocolli di corretta e sicura manipolazione dei cibi [21, 33, 34]. Due RCTs di grandi dimensioni su pazienti oncologici pediatrici (uno su 339 pazienti leucemici, l’altro su 150 pazienti con patologie miste) hanno concluso che la dieta per neutropenici non evidenzava efficacia nella protezione dalle infezioni dei pazienti [33, 34]. Nel 2012, un largo studio retrospettivo su 726 pazienti (363 nutriti con ND e 363 con la normale dieta ospedaliera) è stato condotto per indagare l’incidenza di infezioni clinicamente confermate durante e dopo il TCSE. Una incidenza significativamente inferiore (p<0.03) di infezioni clinicamente documentate è stata osservata nei pazienti alimentati con la normale dieta ospedaliera, questa differenza diventava ancora più significativa (p<0.008) dopo la risoluzione della neutropenia. Altri interessanti risultati di questo studio riguardano una più alta incidenza di infezioni da micro-organismi intestinali nei pazienti sottoposti a ND rispetto alla dieta ospedaliera (VRE, C. difficile e Enterobacteriacee) (p<0.042) e trends vicino alla significatività statistica riguardo le infezioni da Cl. Difficile (p<0.06) e da enterococchi vancomicino resistenti (VRE) (p<0.068 e p<0.054 nei TCSE autologhi) nel periodo post neutropenia [35]. Studi comparativi tra il profilo batteriologico dei cibi crudi e cotti [36] e studi comparativi circa il profilo microbiologico di NDs e diete libere (verdure e frutta igienizzati a dovere secondo protocolli standard) non hanno mostrato differenze tra le due modalità di trattamento dei cibi in termini di conta dei germi contaminanti, mentre hanno mostrato differenze statisticamente significative in termini di contenuti vitaminici e di fibre, ovviamente a sfavore delle NDs [37]. Alcune revisioni e meta-analisi non hanno mostrato vantaggi della dieta a bassa carica microbica (o per neutropenici) rispetto a diete controllate o ragionate e rispetto a protocolli di corretta e sicura manipolazione dei cibi [21, 38, 39].
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