415 5. Complicanze precoci I fabbisogni proteico-energetici di questi pazienti, in particolare in quelli sottoposti a trapianto allogenico, possono essere molto elevati ed arrivare mediamente ad una richiesta giornaliera di circa 1,4-1,5 g/Kg di aminoacidi standard, con una spesa energetica aumentata fino al 130-150% della spesa energetica teorica di base (fabbisogno medio: 30-35 kcal/kg/die). Anche il fabbisogno lipidico è aumentato ed i lipidi risultano essere molto importanti per soddisfare parte del fabbisogno energetico [5, 6]. Molti pazienti presentano carenze di vitamina D durante il percorso trapiantologico, frequentemente già prima del trapianto. La carenza di vitamina D è comunemente osservata anche in ambito pediatrico ed è associata a livelli di sopravvivenza più bassi, ad un aumentato rischio di recidiva di malattia, ad un rallentato recupero dei neutrofili, al maggiore sviluppo di complicanze quali la GvHD e le infezioni da Citomegalovirus (CMV) [7, 8]. Questi aspetti assumono dunque una importanza fondamentale nell’ambito del TCSE in quanto in grado di impattare sulle principali cause di morte e morbilità post trapianto, pertanto vengono suggeriti il monitoraggio dei livelli sierici di Vit.D e della composizione corporea (e densità ossea), affinché cambiamenti negativi possano essere individuati e corretti precocemente, specie in ambito pediatrico [9]. Altri micronutrienti (vitamine, Sali minerali e oligoelementi) sono importanti e dovrebbero essere integrati secondo necessità, specie le vitamine del gruppo B, il potassio, il calcio, il magnesio, zinco, ecc… ed altri dovrebbero essere comunque monitorati per evitarne effetti negativi in grado persino di impattare sugli outcome (si pensi al fosforo in corso di nutrizione parenterale oppure all’eccesso di ferro). 2.2. Comportamenti alimentari dei pazienti sottoposti a TCSE Oltre a ridurre l’apporto globale di nutrienti e l’apporto calorico, i pazienti tendono gradualmente a preferire l’assunzione di alimenti ricchi di carboidrati complessi [10]. E’frequente infatti osservare l’assunzione quasi esclusiva di alimenti quali pizza, gelati, merendine, ghiaccioli, purea di patate, dolci. I pasti principali vengono spesso rifiutati o sostituiti con spuntini a base di alimenti dolci o secchi [11]. Questi cibi probabilmente sono in grado di fornire energia immediata per combattere sintomi o effetti collaterali quali astenia, fatigue, nausea e vomito. Tuttavia, questo và a discapito della introduzione di cibi ricchi di proteine, quali ad esempio carne, pesce, uova e legumi che sarebbero molto più indicati per il mantenimento della massa magra e la ricostituzione cellulare. 2.3. Strategie assistenziali per l’approccio alle problematiche alimentari L’educazione alimentare, che ogni centro dovrebbe prendere in considerazione in collaborazione con dietisti e team nutrizionale, potrebbe costituire una buona opzione per limitare il fenomeno e consentire una dieta più equilibrata durante il percorso del trapianto, in quanto, è stato dimostrato che interventi di educazione nutrizionale strutturati ed intensivi, unitamente all’uso di integratori orali, hanno avuto effetti significativi sull’introito orale, il livello di energia e il mantenimento del peso corporeo [12]. Ferma restando la sicurezza dal punto di vista batteriologico degli alimenti introdotti dal paziente, tuttavia sarebbe oltremodo necessario agire anche su altri aspetti, che presuppongano attenzione alle qualità organolettiche dei pasti, alla loro composizione, alla palatabilità, alle modalità di presentazione, alla varietà delle proposte, tutti elementi in grado di suscitare nella persona delle reazioni emotive più o meno intense [13]. Il paziente sottoposto a TCSE dovrebbe essere stimolato a mantenere un introito orale finchè le condizioni cliniche lo consentono, preferendo la via naturale alle nutrizioni artificiali [14], pertanto le Organizzazioni Sanitarie dovrebbero poter disporre di team nutrizionali per garantirne la corretta applicazione e di strutture organizzative in grado di fornire ai pazienti pasti con la necessaria flessibilità, personalizzati e calcolati sulla base dei fabbisogni e delle esigenze dei pazienti stessi. Per aumentare l’apporto calorico, ad esempio, potrebbe essere necessario agire sul frazionamento dei pasti, introducendo spuntini e merende in modo da ridurre la quantità di cibo ai pasti principali, per consentire di aumentare la quantità globale di alimenti forniti durante la giornata. Dal punto di vista qualitativo le calorie introdotte possono essere incrementate aggiungendo condimenti come olio, burro o salse, oppure adottando specifici accorgimenti di preparazione (ad esempio cuocendo il riso nel latte anziché in acqua) che sono in grado di aumentare l’apporto calorico senza aumentare la quantità di cibo. E’possibile aumentare l’apporto proteico modificando le pietanze, ad esempio aggiungendo carne o pesce omogeneizzati alle minestre, oppure prodotti liofilizzati o integratori iperproteici. Il latte (se non ci sono controindicazioni) può essere utilizzato come bevanda, oppure per la preparazione di frullati, omogeneizzati, o per la cottura di semolini. In ogni caso il processo di realizzazione del menu settimanale personalizzato dovrà essere frutto di scelte condivise con il team nutrizionale. 3. La dieta per neutropenici 3.1. Storia di un’evidenza aneddotica La letteratura a disposizione, che tratta i temi dell’alimentazione nei pazienti neutropenici, si concentra soprattutto sul presunto rischio infettivo che ogni singolo alimento può comportare per questi pazienti. Le ormai datate, ma che ancora oggi condizionano i comportamenti, Linee Guida CDC di Atlanta per la prevenzione e il controllo delle infezioni opportunistiche in adulti e bambini sottoposti a TCSE [15] focalizzavano l’attenzione sull’ipotesi che, controllando l’apporto orale di microrganismi introdotti con la dieta, fosse possibile limitare la presenza di germi con potenzialità opportunistiche, all’interno dell’intestino dei pazienti. Da questo assunto vennero consolidati i precedenti concetti di “Neutropenic Diet (ND)” o “Low Bacterial Diet (LBD)” o “Low Microbial Diet (LMD)” [16], che in seguito furono adottate dalla quasi totalità dei centri, diventando ben presto un monolite paradigmatico della pratica clinica. Tuttavia, non solo il loro utilizzo è da sempre scarsa-
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