Handbook_Volume III

350 chemioterapia citoriduttiva e/o la terapia medica post trapianto e le infezioni. E’ importante la diagnosi corretta perchè la terapia corretta evita la progressione del danno che può portare a duttopenia anche severa fino all’insufficienza epatica. Altra indicazione alla biopsia epatica è la mancata o ridotta risposta al trattamento immunosoppressivo. 2. Quadro clinico-patologico 2.1. Aspetti clinici La GVHD epatica si presenta raramente isolata, più frequentemente associata o successiva ad una GvHD cutanea e/o gastrointestinale. Può presentarsi sia nelle fasi acute che in cronico con aspetti molto variabili, da manifestazioni lievi a colestasi più o meno marcate, con quadri anche fulminanti. Generalmente si presenta con elevate bilirubina coniugata e fosfatasi alcalina. L’incremento delle transaminasi è più comune nella variante cosiddetta epatitica, che si presenta in genere in corso di decalage dell’immunosoppressione [6] o in pazienti che vengono trattati con l’infusione di linfociti del donatore [7,8]. I fattori di rischio principali per lo sviluppo della GVHD sono la disparità dell’antigene leucocitario umano (HLA) tra ospite e donatore, l’alloimmunizzazione del donatore, il diverso sesso di donatore e ospite e l’anzianità del ricevente [9]. E’ infatti molto più frequente che si presenti una GvHD in pazienti sottoposti a trapianto allogenico piuttosto che autologo, sebbene quadri di danno epatico simili sono descritti anche in questi ultimi e probabilmente legati ad una disfunzionalità del sistema immunitario [10]. La GvHD variante epatitica si presenta con incremento delle transaminasi (ALT e/o AST) > 10x rispetto ai valori normali. Può riguardare fino a più della metà dei casi e una delle ipotesi è che sia in realtà conseguenza della ricostituzione del sistema immunitario [11]. La biopsia epatica può essere fatta sia per via percutanea che transgiugulare, ma è raccomandata solo in caso di dubbio diagnostico e a fronte di condizioni cliniche permissive o con rischio accettabile [12]. 2.2. Istologia Ci sono due ordini di problemi nella diagnostica della GvHD, uno di natura tecnica e uno quali/quantitativo. Prima di tutto le dimensioni della biopsia. Sebbene sia raccomandata una biopsia con almeno 10 spazi portali valutabili in una biopsia di lunghezza pari almeno a 1,5 cm e ottenuta con un ago di 14-16G [12], la realtà clinica raramente permette di rispettare questi criteri e spesso ci si trova a valutare biopsie ricavate da aghi di calibro minore con rischio di frammentazione della biopsia [13]. La dimensione dell’ago condiziona la conservazione dell’architettura della biopsia, soprattutto quando il parenchima è danneggiato. Infatti se ci sono punti di collasso o ponti fibrosi, con ago piccolo rischieremo di non poterli valutare correttamente nel preparato istologico in quanto il frustolo tenderà a frammentarsi. Ad ogni modo è importante fare una valutazione del materiale viste le implicazioni cliniche e generalmente è comunque possibile dare indicazioni importanti anche su biopsie che non rispettino tali criteri. Due importanti Consensus sono pubblicati nel 2014 [12] e nel 2015 [4], tuttavia i criteri minimi per porre diagnosi di GvHD non sono ancora stati ben definiti e bisogna ricordare che la biopsia, oltre che ad essere un campione limitato, è una fotografia momentanea di un processo complesso. In particolare, la Consensus del 2015 ha raccomandato di utilizzare quando appropriato, 3 “categorie di diagnosi” che qualificano la descrizione i reperti morfologici al fine di standardizzare il più possibile il referto istopatologico [vedi tabella 1]. La diagnosi istopatologica si basa principalmente sul riconoscimento di un danno immuno-mediato a carico del dotto biliare [4,14] che potrà essere infiltrato da elementi linfocitari, anche se tale infiltrato non è sempre presente. Gli aspetti morfologici di danno biliare includono l’irregolarità della membrana basale del dotto e gli aspetti citologici dei colangiociti che mostrano nucleo ingrandito con anisocariosi, perdita di polarità, raramente fenomeni apoptotici e vacuolizzazione dei citoplasmi (fig. 1-3). Generalmente questo aspetto si accompagna ad un certo grado di colestasi centrolobulare e all’assenza di reazione duttulare, mentre più facilmente si osservano alcuni epatociti metaplastici (fig. 4). Da notare è la riconosciuta variabilità inter-osservatore nell’apprezzare il danno biliare in generale, che può essere così lieve da portare sia ad un mancato riconoscimento dell’alterazione che ad una sovrastima della stessa [15,16]. Specialmente se la biopsia viene eseguita a ridosso dell’insorgenza dei sintomi o nei primi giorni di alterazione degli indici di funzione e necrosi epatica, i reperti possono essere molto focali e non rappresentati nella biopsia in esame [17]. L’infiammazione lobulare è di intensità variabile, può essere più spiccata nelle forme acute tanto da mimare una eziologia virale o farmaco-indotta, o essere appena percettibile ed unico indizio di GVHD quando ancora manca il tipico danno al dotto biliare. Si parla di GvHD variante epatitica quando l’infiammazione lobulare è considerevole (fig. 5), si accompagna a corpi acidofili e a fenomeni di necrosi epatocellulare, l’infiltrato infiammatorio portale linfoplasmacellulare è denso e si accompagna ad epatite dell’interfaccia (fig. 6) [18]. Altro aspetto che si può trovare è l’endotelite, che può interessare sia la vena porta che la vena centrolobulare, anche se l’endotelite della vena centrolobulare tende ad essere più comune nelle reazioni da farmaci [19]. In fasi avanzate di GVHD la colestasi è più evidente, quindi si osserva una degenerazione piumosa degli epatociti e si possono avere quadri duttopenici se il danno persiste. Pur non esistendo criteri istologici per distinguere acuta e cronica, la presenza di aspetti colestatici è sicuramente più caratteristico della cronica, così come importanti da ricordare sono la duttopenia (fig. 7, 8) e la presenza di fibrosi, anche se quest’ultima deve far pensare ad un possibile danno concomitante. Nella GvHD refrattaria, ove la colestasi ha caratteristiche di cronicità, c’è chiara duttopenia e può esserci reazione duttulare [20]. I criteri per identificare la duttopenia sono la presenza di ramo arterioso epatico in assenza di tutte le componenti della triade portale (cosiddette unpaired arteries) in almeno il 10% degli spazi portali o almeno due unpaired arteries indipendentemente dal numero di spazi portali presenti

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