Handbook_Volume III

286 4.9 La fotochemioterapia extracorporea Daniele Laszlo1*, Federica Gigli2, Daniele Avenoso3 , Bruno Lucchetti4 1Unità Mobilizzazione e Raccolta Cellule Staminali – IEO Milano 2Divisione di Ematoncologia – IEO Milano 3Department of Haematological Medicine, King's College Hospital NHS Foundation Trust, Denmark Hill, London (UK) 4Unità Mobilizzazione e Raccolta Cellule Staminali – IEO Milano Email address: laszlo4giima@gmail.com, federica.gigli@ieo.it, d.avenoso@nhs.net, bruno.lucchetti@ieo.it *Corresponding author Abstract: La fotochemioterapia extracorporea è una terapia immunomodulante che, sebbene abbia modalità di azione ancora non completamente identificata, trova larga indicazione nel trattamento della GVHD acuta e cronica ed in altre patologie sostenute da meccanismi autoimmunitari. La fotochemioterapia extracorporea è una procedura per la quale il buffy coat ottenuto per centrifugazione mediante separatore cellulare, viene trattato con raggi UVA per attivare lo psoranelico che viene aggiunto; il prodotto così trattato viene successivamente reiunfuso al paziente. Esistono sostanzialmente due tecniche di esecuzione della procedura: un sistema integrato (on-line) ed uno multistep (off-line) a sistema aperto. In entrambi i casi la fotochemioterapia extracorporea si applica all’interno di sistemi di qualità specifici anche previsti dagli standard del sistema di accreditamento Jacie. Keywords: linfocitomonoaferesi, fotoattivazione, 8-MOP, sistemi off-line ed integrati, GVHD 1. Introduzione Gli antichi egizi avevano riconosciuto le proprietà medicinali di un’erba comune presenti lungo le rive del Nilo, quando attivata dalla luce. Osservarono infatti che le persone che avevano mangiato questa pianta erano più inclini alle scottature solari e che le persone con vitiligine miglioravano il loro quadro cutaneo. Il principio attivo, lo psoralene, si trova anche in frutta e verdure come fichi, lime e pastinaca. Solo nel 1948 tuttavia viene identificato ed isolato l’8-metoxypsoralene (8-MOP) e dopo pochi anni, Aaron Lerner mette in evidenza l’interazione tra 8-MOP e radiazioni ultraviolette dando di fatto il via all’utilizzo terapeutico di tale associazione, dapprima con l’introduzione della PUVA terapia per il trattamento della psoriasi (1). La fotoferesi o fotochemioterapia extracorporea (ECP), e stata la prima procedura immunomodulante riconosciuta dall’FDA nel 1988. La procedura è stata sviluppata inizialmente per il trattamento del linfoma cutaneo a cellule T (CTLC): i pazienti affetti da CTLC assumevano una formulazione orale di 8-MOP e venivano successivamente esposti ai raggi UVA (2). Nella seconda metà degli anni ottanta, vengono impiegati i separatori cellulari con Richard Edelson (3) che nel 1987 descrive l’efficacia dell’ECP nel trattamento dei CTCL; l’8- MOP è ancora somministrato per os. Nel 1992 l’8-MOP viene introdotto invece direttamente nella sacca leucaferetica. Il passo successivo e stato trasferire questa metodica nel trattamento delle patologie T- linfocito mediate, come il rigetto di trapianti di organo solido o come la GVHD acuta e cronica non responsiva a terapia standard steroidea. Il progressivo miglioramento delle performance dei separatori cellulari ha consentito di applicare l’ECP anche nel setting pediatrico, avendo i separatori piu recenti un ridotto volume extracorporeo (4).

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