283 sistente/dipendente [35], ma non vi è ancora un ruolo codificato del FMT nel trattamento della GvHD nell’era del ruxolitinib. 3. Decolonizzazione di germi multiresistenti: la colonizzazione intestinale di batteri multi-resistenti può portare alla traslocazione di specie batteriche dopo il TCSE e causare importanti infezioni. L’uso del FMT prima del trapianto sembra poter eradicare in una buona percentuale dei casi i batteri multi-resistenti[35]. 4. Prevenzione della disbiosi: FMT può essere utilizzato anche per prevenire la disbiosi indotta dal trapianto. A tal fine, il trapianto fecale permette di aumentare i commensali e la diversità dell’ecosistema, ricostituendo la capacità di produzione di metaboliti [35]. Nonostante i risultati promettenti, esistono ancora alcune perplessità nell’utilizzo del FMT nei pazienti trapiantati relative al timing, alla tipologia di prodotto, alla formulazione, alle indicazioni e non ultimo, al profilo di sicurezza della procedura. Nella maggior parte degli studi non sono stati riportati effetti avversi severi, ma è stato recentemente descritto un caso di batteriemia da E.Coli ESBL derivante dal materiale fecale trapiantato che ha portato alla morte del paziente per sepsi [36]. 5. Prospettive future La ricerca nell’ambito della caratterizzazione del MI durante il TCSE ha portato a fondamentali scoperte negli ultimi anni, e la possibilità di utilizzarlo come target terapeutico sembrano sempre più concrete. Numerosi aspetti però rimangono ancora controversi. In primo luogo, il rapporto di causalità tra gli effetti clinici e le modificazioni del MI è ancora da esplorare completamente. Infatti, quanto le modificazioni del MI siano causative o solo un epifenomeno di avvenimenti sistemici dell’ospite è stato uno dei principali argomenti di dibattito nella comunità scientifica. Gli ultimi studi, come ad esempio il già citato lavoro sulla relazione tra lattosio, Enterococcus e GvHD, sembrano confermare l’ipotesi che vi sia un ruolo patogenetico del MI nelle complicanze trapiantologiche, ma ulteriori studi funzionali sono necessari. A tal proposito, l’avvento di metodiche di studio sempre più avanzate come la metagenomica e la metabolomica, ha portato a una maggiore comprensione della composizione e delle funzionalità del MI. Ciò permette di integrare la classica analisi di composizione del microbiota, che associa la prevalenza di determinate specie con l’insorgenza di complicanze, analizzando i network microbici, ovvero le relazioni tra i vari taxa all’interno dell’ecosistema intestinale. Sempre maggiori evidenze inoltre dimostrano come il microbiota in altre localizzazioni anatomiche, come il cavo orale o la cute, possa avere una influenza sugli outcomes trapiantologici[37], e debba essere considerato nel disegno di studi futuri. In ultimo, le prospettive sugli interventi di modulazione del MI sembrano promettenti. L’attenzione alla disbiosi indotta da antibiotici ha portato ad una maggiore attenzione nel loro uso, anche se ciò deve sempre essere controbilanciato dall’alto rischio infettivo dei pazienti immunodepressi. La modulazione nutrizionale del MI permette invece di effettuare un intervento con un potenziale rapporto rischio/beneficio e costo/beneficio estremamente favorevole, e appare ad oggi un focus importante della ricerca in ambito trapiantologico. Grandi aspettative sono riposte nel FMT, i cui studi preliminari certamente dimostrano rivoluzionarie potenzialità terapeutiche e preventive, ma il cui meccanismo biologico non è del tutto chiarato ed il suo utilizzo al di fuori di trial clinici è ancora prematuro. 4.Aspetti clinici ed assistenziali trasversali
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