274 4.Aspetti clinici ed assistenziali trasversali l’ospite (Graft versus Host Disease, GvHD) si infondeva un trapianto da cui erano stati rimossi i linfociti T [4], [5]. Una dimostrazione successiva, piu’ diretta, dell’effetto GvT è legata all’osservazione che l’infusione di dosi aggiuntive di linfociti del donatore (donor lymphocyte infusion, DLI) puo’ riportare in remissione pazienti con recidiva di malattia post-trapianto [6], [7]. 2.2. Ruolo dei linfociti T nell’effetto GvT Nonostante una delle prime evidenze a supporto dell’esistenza dell’effetto GvT sia stata la dimostrazione di una maggiore incidenza di recidiva nei pazienti che ricevevano un trapianto da cui venissero rimossi i linfociti T [5], e’ stato solo nei decenni successivi possibile chiarire attraverso quali meccanismi tali linfociti medino il controllo di malattia. Una parte consistente dell’attivita’ mediata dai linfociti T nel trapianto allogenico di CSE risiede nella loro fisiologica capacita’ di riconoscere, mediante il loro T Cell Receptor, antigeni ignoti al sistema immunitario del donatore, presentati in forma di sequenze peptidiche dalle molecole di istocompatibilita’ (HLA) espresse dalle cellule tumorali. Tra gli antigeni potenzialmente riconosciuti dai linfociti T e che contribuiscono all’effetto GvT sicuramente di enorme interesse sono quelli tumore-specifici, derivanti dalla riattavazione in cellule tumorali di geni espressi solo durante lo sviluppo embrionale o in specifici tessuti (e.g. gli antigenti WT1, PRAME, MAGE) o generati come conseguenza di mutazioni che alterino la sequenza proteica di un gene (neo-antigeni). Nonostante questa classe di antigeni rappresenti il bersaglio ideale per l’immunoterapia, visto che il loro riconoscimento non e’ associato a reattivita’ contro i tessuti sani del ricevente, il loro contributo all’effetto GvT sembra essere piuttosto limitato, probabilmente a causa del numero relativamente basso di alterazioni genetiche e trascrizionali che caratterizzano i tumori ematologici [8], [9]. Molto piu’ consistente sembra invece il contributo all’effetto GvT delle risposte mediate dai linfociti T del donatore contro antigeni minori di istocompatibilita’ (minor histocompatibility antigens, miHAgs), cioe’ contro gli antigeni generati da proteine polimorfiche che siano presenti nel paziente in una variante diversa da quella esistente nel donatore. Il sistema immunitario di quest’ultimo riconosce quindi le varianti paziente-specifiche come diverse e attiva una risposta contro di esse. Un esempio di tali risposte e’ il riconoscimento da parte del sistema immunitario di un donatore di sesso femminile di antigeni codificati dal cromosoma Y, che saranno presenti solo in pazienti di sesso maschile. Solo recentemente, grazie alla disponibilita’ di strumenti per sequenziare con facilita’ il genoma umano, e’ stato possibile apprezzare appieno il numero estremamente elevato di potenziali antigeni minori che possono entrare in gioco nelle dinamiche post-trapianto: nonostante questo, e’ ancora difficile definire quali di essi siano in grado di elicitare risposte immuni (immunogenicita’) e di che entita’ (immunodominanza). Inoltre, e’ di particolare interesse considerare che molte proteine polimorfiche sono espresse solo in specifici tessuti, generando pertanto degli antigeni minori tessuto-specifici. In particolare, antigeni minori paziente-specifici ed espressi esclusivamente nel tessuto ematopoietico (quali ad esempio gli antigeni HA-1 e HA-2) possono di fatto essere funzionalmente assimilabili ad antigeni tumore-specifici, poiche’ dopo il regime di condizionamento le uniche cellule ematopoietiche originate dal paziente saranno le cellule tumorali residue, e quindi riconoscendo tali antigeni minori il sistema immunitario del donatore potra’ mediare l’effetto GvT senza danneggiare i tessuti sani. Di converso, antigeni minori espressi ubiquitariamente saranno associati sia ad effetto GvT che al rischio di scatenare o peggiorare la GvHD, e quelli presenti solo in tessuti diversi da quello ematopoietico saranno esclusivamente associati al rischio di indurre questa temibile complicanza [10], [11]. Oltre al fisiologico riconoscimento da parte dei linfociti T di peptidi presentati da molecole HLA “self”, condivise cioe’ da paziente e donatore, nel contesto del trapianto allogenico di CSE e’ possibile anche che i linfociti T del donatore reagiscano contro molecole HLA presenti nel paziente ma non nel donatore, e riconosciute pertanto dal sistema immunitario di quest’ultimo come incompatibili. Mentre il numero di linfociti T capace di riconoscere antigeni minori o derivanti da patogeni e tumori e’ in ciascun individuo molto limitato (contando sulla straordinaria capicita’ di queste cellule di espandersi per mediare una risposta efficace) i linfociti T in grado di rispondere immediatamente a molecole HLA incompatibili (definiti “primariamente alloreattivi”) e’ straordinariamente elevato. Pertanto le incompatibilita’ HLA sono associate a risposte T-cellulari estremamente robuste, sia in senso GvT che nel rischio e severita’ della GvHD associata, ed e’ spesso difficile, o impossibile, separare i due fenomeni [12]. Dal punto di vista dei loro meccanismi d’azione, l’attivazione delle cellule T citotossiche (CD8) determina da parte loro l’eliminazione diretta delle cellule tumorali attraverso il rilascio di Granzima B, perforine e i “death receptors” del sistema TRAIL. Inoltre, sia i linfociti CD8 che quelli CD4 (T helper) sono capaci di rilasciare citochine infiammatorie, tra cui l’interferone-γ e il tumor necrosis factor α (TNFα), portando al reclutamento ed alla attivazione di ulteriori cellule immunitarie. Importante inoltre il ruolo delle cellule T regolatorie (CD4+CD25+FoxP3+), che hanno fisiologicamente la funzione di limitare reazioni immunitarie potenzialmente dannose, ma che nel contesto di risposte antitumorali possono essere co-optate dalle cellule maligne e proteggerle dall’eliminazione. E’ inoltre rilevante menzionare che le risposte mediate dai linfociti T sono fortemente influenzate dalla presenza o assenza sulle cellule bersaglio di ligandi in grado di potenziarne l’attivita’ (molecole costimolatorie) ma anche di molecole con funzione opposta, che ne riducano il potenziale funzionale ed agiscano da “checkpoint” della risposta immune. 2.3. Ruolo di altre cellule del sistema immunitario nell’effetto GvT E’ sempre piu’ evidente che altre cellule del sistema immunitario possano essere coinvolte nell’effetto GvT del trapianto allogenico di CSE, potenziandolo o limitandolo, sia interagendo coi linfociti T, sia mediando azioni dirette sul tumore.
RkJQdWJsaXNoZXIy ODUzNzk5