Handbook_Volume III

247 4.Aspetti clinici ed assistenziali trasversali 3.1.3 Il metodo di trasmissione Il trasferimento delle informazioni, conoscenze e abilità dall’educatore al paziente/caregiver rappresenta il metodo di trasmissione [5]. Il processo è complesso e dipende da diverse variabili: le tempistiche, la tipologia di sessioni, la struttura e il setting e i mezzi [5]. La maggior parte degli studi analizzati descrive processi educativi che si realizzano prima del ricovero presso il Centro Trapianti ed alla dimissione ma gli studi presentano anche altre opzioni in cui viene erogata la formazione come, per esempio, durante il ricovero stesso [13]. Rispetto alla durata nell’intervento educativo, nello studio condotto da Herrmann e colleghi (2021) [2], la maggior parte della popolazione inclusa ha preferito due sessioni educative più brevi rispetto a una più lunga. Queste tempistiche hanno aiutato i pazienti a ricordare meglio le informazioni fornite, a ripensare le domande che avevano in mente, a coinvolgere altre persone significative nel processo educativo stesso e a cercare ulteriori informazioni. Altri pazienti e caregiver preferivano che entrambe le sessioni avvenissero nello stesso giorno con una pausa, trascorsi 30 minuti di colloquio; la motivazione di questa scelta è dovuta alla riduzione dei tempi di attesa, delle tempistiche del viaggio e dei costi [2]. Nell’ottica di garantire un’assistenza incentrata sul paziente e di rispettare le preferenze dei pazienti, risulta necessario che l’equipe trapiantologica chieda ai pazienti stessi quale sia lo stile educativo che li coinvolga maggiormente e li renda più partecipi [2]. Le sessioni educative possono essere individuali o di gruppo, come i focus group. Schmir-Pokorny e colleghi (2003) [8] descrivono nel loro studio un approccio educativo multi-metodo in grado di rispondere agli stili di apprendimento di ciascun discente. Il modello prevede l’integrazione di sessioni di gruppo in cui il case manager illustra il processo del trapianto di cellule staminali e lo staff infermieristico educa rispetto all’assistenza di base (come, per esempio, alla dieta e all’igiene del cavo orale) e di incontri educativi individualizzati dove l’intera equipe multiprofessionale trasmette contenuti più specifici come il piano di cure, la stadiazione della malattia piuttosto che il regime di condizionamento [8]. Per quanto concerne la formazione dei caregiver, Gemmill e colleghi (2011) [14] sostengono che la formazione di gruppo permette ai caregiver di capire che ci sono altre persone che affrontano le stesse sfide mentre le sessioni individuali sono maggiormente efficaci per coloro che assistono pazienti molto complessi sia dal punto di vista fisico che psicosociale, dai quali non possono allontanarsi [14]. La metodologia dei focus group è stata utilizzata sia come occasione di confronto e discussione fra più pazienti e fra caregiver sulle tematiche che riguardano il TCSE [6], sia come tecnica per focalizzare le necessità formative percepite da pazienti e caregiver con i professionisti sanitari e i metodi che ciascun Centro Trapianti utilizza per fornire informazioni ai pazienti [15]. La struttura delle sessioni educative può essere molto disparata passando dalla lezione teorica, alla metodologia del problem-solving, ai laboratori pratici. Il metodo più diffuso è quello della lezione frontale e della discussione anche se è quello che meno orienta all’autocura [16]. Negli ultimi tempi si sta diffondendo sempre più la modalità educativa del problem-solving, una metodologia che supporta i pazienti e i caregiver a individuare in autonomia la soluzione più adeguata ad un determinato problema. La metodologia del problem-solving risulta essere particolarmente efficace sulla soddisfazione e sulla sensazione di autoefficacia sia del paziente sottoposto a TCSE che del caregiver [17, 18]. Trova, inoltre, spazio nella pratica, anche se in maniera limitata, la formazione attraverso la metodologia dei laboratori (ad esempio, per la gestione dei cateteri venosi [8] o di interventi pratici dimostrativi [1]). Un ulteriore aspetto, non meno importante, è il setting della sessione educativa: camera d’ospedale, studio clinico, stanza ambulatoriale e di day hospital, piuttosto che la casa. Nella maggior parte degli studi inclusi, il setting è quello ospedaliero: viene presentata anche la modalità dei tour all’interno dell’ospedale stesso [1]. Un’ultima variabile che riguarda il metodo di trasmissione è il mezzo attraverso il quale si garantisce il passaggio delle informazioni, si pensi all’invio di materiale formativo via mail [19] piuttosto che i colloqui telefonici [1, 20]. Un ulteriore aspetto da considerare è la necessità di valutare quanto i pazienti e i caregiver abbiano compreso durante le sessioni educative, spesso effettuato attraverso la somministrazione di check-list piuttosto che di questionari al termine del percorso educativo [2]. Per ottimizzare l’acquisizione delle informazioni, è fondamentale valutare le necessità formative, gli stili di apprendimento e le preferenze di ciascun paziente e caregiver: dalla predilezione linguistica a quella culturale, dalle caratteristiche personali a quelle legate alla malattia, come l'età, il livello di alfabetizzazione sanitaria e i trattamenti precedentemente affrontati [10]. Dallo studio condotto da Burns e colleghi (2018) [10] nel campo della formazione al TCSE, emerge, infatti, che gli educatori risultano essere maggiormente interessati all’aumento delle conoscenze di pazienti e dei loro caregiver mentre i discenti si focalizzano prioritariamente sulla diminuzione del disagio e sul potenziamento del senso di controllo e dell’autoefficacia. 3.1.4 L’educazione modulare Diversi studi, tra cui quello di Kemp & Dicherson (2001) [21], individuano dei momenti specifici in cui realizzare l’educazione: il periodo pre-trapianto, quello relativo al ricovero in struttura e quello del post-trapianto, prevedendo altrettanti moduli formativi (in tal senso si parla di educazione modulare) che preparino il paziente e i caregiver rispetto ai tre momenti (Figura 1). Un momento particolarmente delicato è quello della dimissione in quanto i pazienti possono andare incontro a maggiore preoccupazione [22]. Un’adeguata educazione al momento della dimissione può influenzare il numero di riammissioni e la successiva durata dei ricoveri. Per ridurre questi esiti, la letteratura sottolinea l’importanza di educare il paziente all’aderenza terapeutica, all’identificazione precoce dei sintomi e alla prevenzione delle infezioni [23].

RkJQdWJsaXNoZXIy ODUzNzk5