218 liti (Methotrexate short-course), Micofenolato Mofetile, siero anti-linfocitario, inibitori di mTOR (Sirolimus) o altri immunosoppressori. La comparsa di una GVHD, sia in forma acuta che cronica, determina la necessità di intensificare tale terapia immunosoppressiva, con l’impiego in prima istanza di cortisonici ad alte dosi (Metilprednisolone 2 mg/Kg/die o analoghi) e di farmaci immunomodulatori (Ruxolitinib e altri), che possono avere un significativo impatto in termini di tossicità, in special modo nei primi mesi post-trapianto. Tutto l’insieme di tali terapie pesa significativamente sull’indipendenza funzionale del paziente, con elevato rischio di perdita di massa muscolare e ossea durante la fase di chemioterapia e i primi mesi post-trapianto. Inoltre, la necessità di isolamento in camere a bassa carica microbica, un’infezione prolungata, e il possibile allettamento conseguente a gravi complicanze, come per esempio uno shock settico, una polmonite estesa o una “enterite del neutropenico” (una grave infezione ileo-colica con interessamento esteso del viscere in profondità), possono ulteriormente contribuire ad una compromissione delle abilità motorie del paziente, come si può vedere rappresentato in Figura 1. Più tardivamente, infine, anche dopo la sospensione dell’immunosoppressione, la possibile insorgenza di una GVHD muscolo-tendinea o di complicanze endocrine al trapianto, rendono ancora necessario un monitoraggio radiologico (densitometrie periodiche), endocrino e fisioterapico. È documentato infatti come la perdita di massa muscolare e l’osteoporosi siano marcatamente incrementate nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico rispetto alla popolazione generale pareggiata per sesso ed età e come questo possa avvenire anche anni dopo l’esecuzione del trapianto [2]. L’insieme di queste osservazioni ha portato, nel complesso delle valutazioni pre-trapianto, ad introdurre un programma individualizzato di valutazione e follow-up fisioterapico per i pazienti da sottoporre a trapianto allogenico. 2. La gestione fisioterapica del paziente oncologico 2.1 La fisioterapia come terapia adiuvante non farmacologica In passato veniva spesso consigliato ai pazienti portatori di patologie croniche quali malattie oncologiche, cardiovascolari e polmonari di evitare l’attività fisica [4], finchè negli anni Sessanta numerosi studi, insieme al contributo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1964), iniziarono a dimostrarne l’efficacia, ponendo le basi della Riabilitazione Cardiaca incentrata su esercizi fisici [3]. La prima relazione sugli effetti benefici derivanti dagli esercizi in pazienti oncologici risale ai primi anni Ottanta [3], mentre nel 1989 venne realizzato il primo studio randomizzato controllato su 45 donne affette da cancro della mammella sottoposte a chemioterapia. Dopo 10 settimane di esercizi aerobici venne osservato un significativo aumento di consumo massimo di ossigeno (VO2max) [3]. Questo fatto ebbe ed ha tutt’ora grande rilevanza clinica: la fitness cardiorespiratoria è infatti un fattore predittivo di mortalità e probabilità di sviluppare malattie cardiovascolari [3], di cui il consumo massimo di ossigeno (V02max), è il miglior indicatore. Da quel momento in poi le evidenze scientifiche relative ai programmi di esercizi aumentarono esponenzialmente gettando le basi della Riabilitazione Oncologica basata su esercizi [3], eleggendola ad importante terapia adiuvante non farmacologica. Il primo studio focalizzato proprio sui pazienti oncologici sottoposti a trapianto di midollo osseo (BMT - bone marrow transplantation), fu condotto da Dimeo et al. [3], che nel 1996 sviluppò un programma di esercizi aerobici di 6 settimane osservando un significativo miglioramento nella performance fisica e nella distanza percorsa durante il cammino, come anche nella diminuzione della frequenza cardiaca. È ormai quindi noto come un programma di esercizi in pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT - hematopoietic stem cell transplantation), porti ad un incremento della fitness cardiorespiratoria (CRF cardiorespiratory fitness), [3, 4, 5, 6, 7, 16, 17], della forza muscolare [3, 4, 5, 6, 7, 16, 17], della funzione metabolica ed immunologica [3], riducendo gli effetti collaterali dei trattamenti antineoplastici [3] ed i tempi di ospedalizzazione [3], aumentando la percentuale di sopravvivenza dopo la dimissione [6]. 3. Trattamento riabilitativo 3.1. La valutazione del paziente Nella letteratura esaminata diversi articoli sottolineano l’opportunità di sottoporre il paziente a valutazione fisica in tre tempi distinti: il giorno del ricovero, alla dimissione e dopo 100 giorni dal trapianto [4,5,6]. I principali tests utilizzati per la valutazione del paziente sono i seguenti: • 6MWT (Six minute walking test): predittivo di morbilità e mortalità ed indicatore dello stato funzionale del paFigura 1. Funzionalità fisica ed effetti collaterali dopo trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche [6]
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