213 3. Terapie di supporto tamente ritirato e inaccessibile, oppure può esprimere sentimenti di intolleranza e rifiuto, soprattutto nei confronti del genitore presente e degli operatori sanitari. Si possono manifestare talvolta gravi scompensi emotivi, in particolare di angoscia e di depersonalizzazione, che devono transitoriamente essere trattati con psicofarmaci. Tali condizioni possono persistere anche dopo il trapianto e si osservano più frequentemente quando il paziente è adolescente e la degenza in ospedale si protrae oltre il tempo previsto dal protocollo. Se il percorso di cura presenta significative comorbilità fisiche come ad esempio la Graft versus host disease (GvHD), l’adolescente può manifestare problematiche psicologiche dovute ai cambiamenti nell’immagine corporea e alla dipendenza dai farmaci che minano profondamente la qualità di vita e delle relazioni sociali. 3. I genitori I genitori di un bambino o adolescente sottoposto a trapianto, già estremamente provati a livello psicologico dalla condizione di malattia, si trovano ad affrontare una nuova complessità. Sebbene per i genitori il trapianto rappresenti una concreta possibilità di guarigione, esso è allo stesso tempo vissuto, in particolare modo dal genitore in assistenza, come un’esperienza di grande fatica, solitudine e paura. Non è raro che i sentimenti appena citati possano far nascere ed acuire nel genitore alcuni sensi di colpa. Essi, a loro volta, possono alimentare delle vere e proprie incertezze rispetto all’andamento del trattamento e, in alcuni casi, anche rispetto alla scelta stessa del trapianto. Talvolta, questi sentimenti rendono insopportabili le fisiologiche reazioni di rifiuto, rabbia ed insofferenza nei confronti del proprio figlio. Ciò potrebbe condurre il genitore a sviluppare un rapporto quasi fusionale con il bambino; uno scenario piuttosto comune nelle situazioni in cui egli è molto piccolo, (solitamente sotto i cinque anni) nonché nei nuclei stranieri che arrivano in Italia per il solo trapianto. A fronte di questi elementi, risulta evidente che mantenere il ruolo genitoriale possa rappresentare un compito particolarmente complesso per questi caregiver che, non solo devono garantire una presenza costante e continua, ma devono anche essere in grado di trasmettere sicurezza e nascondere le proprie fatiche e preoccupazioni. Inoltre, nei casi in cui il donatore è un fratello, i genitori vengono esposti a livelli ancora più elevati di stress in quanto la complessità della situazione, che ora vede più di un figlio coinvolto nelle procedure mediche, aumenta notevolmente.Tali elementi trovano riscontro nella letteratura, evidenziando come una buona comunicazione tra genitori, paziente ed equipe curante sia elemento di fondamentale importanza per l’adattamento alla situazione e per la riduzione dei livelli di stress (2). 4. I fratelli La malattia oncologica del fratello e/o sorella rappresenta per i bambini/ragazzi un evento sfavorevole con ricadute negative sulla qualità di vita nel presente e possibili interferenze nel percorso di sviluppo. Tutto questo è accentuato se il fratello/sorella è coinvolto nella donazione di midollo, dove oltre al coinvolgimento fisico diretto vi è un coinvolgimento particolarmente intenso anche dal punto di vista psicologico. Le emozioni in gioco sono diverse e variano da sentimenti depressivi e ansiosi a solitudine, isolamento, ritiro, bassa autostima e rabbia nei confronti dei genitori. Parallelamente, si osserva anche la possibilità di un buon adattamento, legato a una maggiore maturità, un miglior livello di competenza sociale e a una maggiore intimità con i fratelli malati. Rispetto all’età dei donatori, le preoccupazioni prevalenti nell’infanzia riguardano la possibile modificazione corporea e il dolore, mentre in adolescenza i timori concernono maggiormente la procedura di donazione e le possibili conseguenze per il ricevente. Il fratello donatore spesso appare sorpreso della compatibilità e si ritrova a compiere la donazione, decisa dai genitori, affrontandola come un evento inevitabile. Può vivere in modo onnipotente il suo gesto sentendosi però responsabile di eventuali insuccessi. Inoltre, può pensare la donazione come occasione di recupero delle attenzioni genitoriali oppure viverla come l’ennesima ingiustizia cui viene sottoposto a causa del fratello malato. Tramite una ricerca svolta presso il Centro di Torino, è stato possibile indagare, attraverso l’analisi dei colloqui psicologici, i principali stati emotivi dei fratelli sani; tra questi i principali sono sentimenti depressivi e di sofferenza, rabbia e oppositività e ansia. Accanto ai fratelli iper-responsabilizzati, che spesso vivono sentimenti di colpa o solitudine, vi sono quelli arrabbiati e ostili, sulla base di un assetto narcisistico peraltro sempre più frequente. La ricerca mette poi in luce che il vissuto ansioso mostra specificità tra i fratelli non donatori e donatori. Tra questi ultimi, solitamente l’ansia è circoscritta all’esperienza dell’espianto e all’esito della donazione (3). La donazione di trapianto è un’esperienza di vita unica e viene vissuta diversamente da ogni individuo; la letteratura è concorde nell’affermare che tale esperienza avrà un impatto non trascurabile, anche a lungo termine, nella relazione affettiva tra il sibling donatore e il paziente (2). Considerate queste implicazioni, si rivela fondamentale l’accompagnamento psicologico anche del donatore effettuando almeno un colloquio esplicativo prima e uno dopo lo svolgimento del trapianto per accogliere la molteplicità di emozioni connesse alla procedura. 5. Il ritorno a casa Dopo il ricovero, il ritorno a casa di un bambino o adolescente sottoposto a trapianto è stato paragonato all'arrivo di un bambino appena nato; le famiglie festeggiano e si sentono sollevate per il ritorno dopo un lungo periodo di isolamento in ospedale. Tuttavia, nonostante i sentimenti positivi, spesso rimangono alcune preoccupazioni, tra cui la continua fragilità del bambino e del ragazzo trapiantato e la paura del rigetto e di una eventuale ricaduta. Un’esperienza impattante come il trapianto può compromettere l’integrità dell’immagine di sé (corpo-mente) e, di conseguenza, la stabilità
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