Handbook_Volume III

209 3. Terapie di supporto risultati delle terapie psicologiche sui pazienti oncologici [37]. Anche nel caso di pazienti che vengono sottoposti a TCSE, sono vari gli studi che hanno focalizzato l’attenzione sugli interventi che mirano a contenere il distress emozionale [13] [38] [39]. Come evidenziato, se alla diagnosi sono spesso presenti reazioni di allarme e di angoscia, nel medio e lungo periodo, quando si palesano gli esiti fisici della malattia e dei trattamenti, possono manifestarsi stati psicologici caratterizzati da demoralizzazione e depressione. L’imprevedibilità e l’eterogeneità dei percorsi nei tumori ematici assume per il paziente un carattere perturbante ed inquietante e sono spesso condizione di un profondo senso di disorientamento [44]. Anche se, in alcune circostanze, un atteggiamento evitante (di relativa negazione) può essere di aiuto, sembra che un approccio attivo e di confronto diretto con gli aspetti dolorosi (affettivi e cognitivi) elicitati dalla condizione di malattia possa facilitare l’adattamento psicologico del paziente [40]. Offrire uno spazio di ascolto, in cui sia possibile indagare l’impatto psicologico del tumore, le preoccupazioni, le aspettative, le idee e i significati che ad esso vengono attribuiti, risulta di fondamentale importanza al fine di un adeguato contenimento del distress psicologico. Accogliere, sin dall’inizio, i timori e le preoccupazioni del paziente e contenerne le angosce più profonde (di morte), può restituire la percezione di un (relativo) controllo sulla propria condizione, il che, attenuando i vissuti di impotenza e smarrimento, può ridurre il rischio di complicanze psicologiche nel medio-lungo periodo [14] [45]. Inoltre, sostenere, attraverso tempestivi interventi di supporto, le funzioni dell’Io del paziente, può facilitare la comunicazione con gli operatori sanitari e, più in generale, la compliance alle cure mediche [42] [43]. La valutazione che precede il TCSE può svolgere un ruolo significativo in tal senso, in quanto, oltre ad essere un primo momento di condivisione delle informazioni di carattere medico e infermieristico fra équipe sanitaria e paziente, può rappresentare un’utile opportunità per individuare eventuali dimensioni di fragilità psicologica. Uno degli aspetti centrali del vissuto dei pazienti che hanno affrontato un’esperienza oncologica, è il timore che la malattia possa tornare, in particolare per chi ha già affrontato una recidiva. Spesso i pazienti riferiscono il timore di ammalarsi di nuovo e di entrare in un circolo vizioso di terapie invalidanti e riacutizzazione della malattia, senza soluzione di continuità. Nonostante le conseguenze di una tale condizione emotiva siano piuttosto profonde e disabilitanti, non sembrano aver ricevuto sufficiente attenzione dal punto di vista clinico [47] [48]. La paura della recidiva viene sostenuta da un meccanismo psicologico secondo cui le aspettative future si determinano a partire dalle esperienze negative del passato. In queste circostanze, al fine di contenere le angosce dei pazienti, può essere utile favorire la consapevolezza di questi processi, che, di volta in volta, acquisiscono uno specifico significato nel contesto dell’esperienza e della storia individuali di ciascuno. La perdita dell’autonomia e della progettualità, le alterazioni dello schema corporeo, le limitazioni alla vita sociale e la sospensione delle attività lavorative, rappresentano brusche e dolorose interruzioni nella routine quotidiana, che vanno affrontate, elaborate e metabolizzate analogamente ad eventi luttuosi. Un aspetto di rilievo, pertanto, nel contesto di un’adeguata presa in carico psicologico clinica e/o psicoterapeutica delle problematiche emotive dei pazienti onco-ematologici, consiste nel favorire una graduale accettazione dell’evento malattia, della molteplicità delle sue implicazioni e, più in generale, dei limiti (reversibili e talvolta irreversibili) imposti dalla nuova condizione [51] [52] [53] [54]. Vari studi evidenziano che la psicoterapia individuale, di gruppo e la psicoeducazione hanno prodotto risultati interessanti. La durata dell’intervento sembra assumere il ruolo di moderatore sulla durata degli esiti, per cui a trattamenti più lunghi sono in genere correlati effetti prolungati [55]. Al contrario, training di rilassamento ed interventi brevi hanno registrato benefici a breve termine. Ci appare, inoltre, importante menzionare la funzione di sostegno svolta dai caregivers dei pazienti sottoposti a TCSE, pazienti portatori di bisogni complessi che richiedono un livello di assistenza elevato e continuativo nel tempo. Nel contesto della loro attività di cura, caratterizzata da impegno e dedizione quotidiana, i caregivers possono vivere e assorbire profondamente le preoccupazioni e le angosce dei loro congiunti, arrivando, talvolta, a manifestare sintomi mentali (ansia e depressione) equiparabili a quelli dei pazienti stessi [14] [15]. In alcune circostanze, una presa in carico psicologico clinica e/o psicoterapeutica estesa anche ai caregivers, può rivelarsi indispensabile al fine di sostenere la resilienza dell’intero sistema familiare. Dati di letteratura dimostrano che un nucleo familiare caratterizzato da relazioni positive e da una comunicazione aperta, in cui sia possibile esprimere e condividere gli affetti, soprattutto quelli dolorosi, associati allo stato di malattia del congiunto, può rappresentare un importante elemento di supporto nel difficile e complesso processo di adattamento del paziente (e dell’intero nucleo familiare) al cancro [10]. Sembra, inoltre, che la qualità delle comunicazioni e delle relazioni familiari possa avere un impatto sull’esito del trapianto e sulle probabilità di sopravvivenza dei pazienti [10]. Pertanto, in conclusione, riteniamo auspicabile, anche alla luce delle recenti indicazione della IPOS (International Psycho-Oncology Society), che gli interventi psicologico clinici e psicoterapeutici (individuali e di gruppo) vengano concepiti come parte integrante del processo di cura globale del cancro, nel contesto di un lavoro di équipe multidisciplinare, che integri lo psico-oncologo all’interno della rete assistenziale che ruota intorno al paziente e ai suoi familiari.

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