208 agli effetti delle terapie, espone i pazienti ad uno stato di severo malessere, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Molto comune è la credenza di non riuscire a far fronte alla solitudine e alle possibili complicazioni di carattere medico, non solo durante il periodo di isolamento, ma anche nella successiva fase di convalescenza [23]. Oltre a crisi di panico e sintomi claustrofobici, che possono presentarsi durante il periodo trascorso in camera sterile, i timori di una possibile progressione della malattia, del fallimento delle terapie, del potenziale rischio di recidiva (con conseguente eccessiva attenzione a segni e sintomi del corpo) e di perdere l’autonomia, diventando così un peso per familiari e amici, rappresentano le tensioni più frequenti. Inoltre, la presenza di ansia di rilievo clinico, può interferire con la comprensione delle informazioni ricevute, compromettendo l’aderenza ai trattamenti e provocando, nei casi più gravi, l’interruzione delle cure [4]. I dati epidemiologici sulla prevalenza della depressione variano in base alla popolazione di riferimento e alla gravità sintomatologica [24] [25]: nei pazienti oncologici sottoposti a cure palliative, ad esempio, l’incidenza dei disturbi depressivi varia dal 25% al 29%; nella stessa popolazione, un episodio depressivo maggiore ha una prevalenza tra il 14% e il 17% [26]. Complessivamente, la probabilità di sviluppare un episodio depressivo maggiore è 2, 3 volte maggiore nella popolazione oncologica rispetto a quella generale [27]. L’incidenza aumenta se vengono considerati sintomi, episodi e disturbi depressivi di qualsiasi entità [26]. Alla luce di questi dati, è evidente come i disturbi depressivi siano tra le problematiche psicologiche più frequentemente diagnosticate nei pazienti neoplastici [28]. La diagnosi in oncologia può essere complicata dal fatto che i sintomi fisici della depressione possono essere talvolta confusi con i sintomi della malattia e molto più frequentemente con quelli indotti dalle terapie mediche. Ad esempio nei pazienti sottoposti a TCSE, durante la fase di convalescenza, c’è un aumentato rischio di sviluppare sintomi, come insonnia e inappetenza, facilmente sovrapponibili ad alcuni sintomi depressivi [5]. Inoltre, il periodo di ospedalizzazione e di isolamento in camera sterile, può produrre come effetto un’anedonia indotta. Questi aspetti spiegano la complessità di una adeguata diagnosi di depressione nella popolazione dei pazienti che si sottopongono a TCSE e, più in generale, nei pazienti oncologici e onco-ematologici. Pertanto, al fine di facilitare lo screening, appare più indicato focalizzare l’attenzione su aspetti psichici quali minore capacità di concentrazione e di riflessione o presenza di severa indecisione, ridotta o assente aderenza alle terapie, tendenza a non registrare i progressi nonostante il miglioramento delle condizioni di salute e un peggioramento del funzionamento generale non giustificato dalle condizioni mediche [29]. Tali principi aderiscono ad un approccio “esclusivo” che rimuove dai criteri diagnostici i sintomi somatici della depressione. L’approccio sostitutivo, tipico dei criteri di Endicott, pone l’accento su aspetti quali una visibile mimica facciale e corporea depressa o di paura, ritiro sociale e minore loquacità, tendenza a rimuginare, presenza di autocommiserazione o pessimismo, propensione a non rallegrarsi in situazioni piacevoli o a non reagire alle buone notizie. Una ricerca condotta da Akechi e collaboratori, ha evidenziato la capacità discriminante, nella popolazione oncologica adulta, di un approccio tendente a considerare prevalentemente la sintomatologia psichica rispetto a quella somatica nelle diagnosi di depressione [29]. Si stima che circa il 35% dei soggetti che vengono sottoposti a TCSE possono presentare sintomatologie depressive [31] [32]. Tra le variabili maggiormente associate a depressione troviamo il sesso maschile, la giovane età, basso status socio-economico e, nel gruppo dei pazienti sottoposti a trapianto allogenico, l’assunzione del corticosteroide prednisone. Quest’ultimo, nella stessa popolazione, è correlato anche a maggiori livelli di ansia [33]. Una recente ricerca condotta da Kuba e collaboratori ha analizzato il decorso dei disturbi d’ansia e depressivi nei pazienti sottoposti a trapianto. Gli autori hanno registrato una bassa incidenza di sintomi di depressione nella fase pre-trapianto che aumentava, dal 12% al 30%, nei 5 anni successivi. Inversamente, la traiettoria della sintomatologia ansiosa raggiungeva livelli elevati nel periodo antecedente il trapianto e andava, col trascorrere del tempo, stabilizzandosi con indici simili a quelli del campione di controllo [22]. Pertanto, si osserva una maggiore tendenza, nei pazienti che vanno incontro a TCSE, a sviluppare sintomi d’ansia nelle fasi pre-trapianto e sintomatologie depressive come conseguenze a medio-lungo termine. In crescente aumento è, inoltre, l’attenzione rivolta all’impatto che il distress psicologico ha sull’esito dei trapianti. Di particolare interesse appare il dato che evidenzia come i pazienti con depressione, diagnosticata prima di essere sottoposti a trapianto, avevano una minore sopravvivenza complessiva, sia dopo TCSE autologo che allogenico; inoltre, si riscontrava un maggior rischio di sviluppare GVHD acuta di grado 2-4 nei pazienti sottoposti a trapianto allogenico [32]. Questi risultati sottolineano quanto i disturbi mentali, depressione in particolare, possano rappresentare un ulteriore fonte di rischio di complicanze mediche post-trapianto e di mortalità. Pertanto, intervenire tempestivamente, identificando quelle condizioni di fragilità che necessitano di una presa in carico psicologico/psicoterapeutica e/o psichiatrica (quando necessaria), risulta di fondamentale importanza non solo per contenere la sintomatologia psichica, ma anche per ridurre il rischio di potenziali conseguenze negative di carattere medico durante l’intero iter di trattamento. 3. Interventi psicologico clinici e psicoterapeutici Negli ultimi anni è in costante crescita l’interesse per i
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